Un anno e un giorno fa sono partita.
Se ripenso a quel 4 settembre invidio la mia ingenuità e la mia totale incoscienza.
Quest'anno è stato la mia camera iperbarica delle emozioni.
Ora, mi sento ricca di esperienze altrui e povera di illusioni.
Arash mi ha salutata dicendomi buona fortuna. "Arash, sono io che devo dirti buona fortuna"; "No, Cecilia, io non ho fortuna".
Sbattere contro il muro della consapevolezza uccide la speranza.
Goodnight, and good luck.
giovedì 3 settembre 2009
venerdì 24 luglio 2009
verweile doch, du bist so schön!
Cunningham scrive che le persone si illudono di vivere esperienze eccezionali, fuori dal comune ed estremamente eccitanti rispetto alle altre esistenze umane. Io ho quest’illusione. Oggi ho vissuto una giornata perfetta, che molte persone dovrebbero invidiarmi. È stata una giornata rara, un giornata eccezionale.
Il ragazzo ceceno, col quale ho versato lacrime di gioia, di rabbia e di dolore è tornato per dirmi addio. Ci siamo detti molto, senza interprete e senza parole. Abbiamo riso e ci siamo promessi di non dimenticarci. d’ora in poi sarà scolpito nella mia memoria, per sempre.
Un signore kosovaro ed io abbiamo accudito un piccolo ceceno di appena un anno. L’amore per questo bimbo ci ha uniti più di una cultura, una lingua e una cittadinanza in comune. Guardarlo giocare ha dato un senso di normalità ad un quadro fuori dal comune.
Un piccolo della Guinea si è addormentato tra le mie braccia. Quando mi vede nei corridoi tende le braccia verso di me, mi riconosce, si fida di me. Quando sua madre viene a prenderlo, si mette a piangere e si aggrappa alle mie gambe. Sono fiera ma al tempo stesso mi si spezza il cuore vederlo terrorizzato all’idea di perdermi.
-5 giorni e me ne vado dal centro. Non riesco ad immaginarmi l’addio, non riesco a dare una forma alle parole che pronuncerò. Non è umanamente sopportabile creare dei rapporti e poi andarsene.
Mi sono catapultata in quest’avventura senza un’idea precisa di ciò che avrei vissuto e mi sono fatta coinvolgere fini alle ossa dalle vite delle persone che incontrato. Io non vedo dei rifugiati, io vedo Ahmed, Zahra, Said… io vedo degli occhi che guardano, ascolto delle bocche che raccontano e annuso l’odore della persona che ho di fronte.
Ogni volta che finiva un ciclo scolastico ero triste di lasciare delle persone alle quali avevo voluto bene ma sapevo che avrebbero intrapreso la loro strada. Qui lascio delle madri, dei bimbi e degli uomini che rischiano un rimpatrio forzato in un paese che ormai non è più il loro, lascio persone che migrano e migreranno ancora, lascio delle speranze infrante e dei sogni troppo timidi per poter essere fatti. Lascio tanti punti di domanda incollati su delle vite.
Sono psicologicamente destabilizzata, ho succhiato qualche goccia di ciascun trauma subito, ho abbandonato ogni illusione circa la giustizia trionfante per i buoni. Sono favole a cui non credo e che non voglio raccontare alle persone che mi chiederanno di quest’esperienza e che sicuramente non racconterò ai miei figli un giorno (meglio disillusi che delusi!). Ogni piccola conquista è costata dolore profondo, conquista irrilevante rispetto al prezzo pagato.
Il ragazzo ceceno, col quale ho versato lacrime di gioia, di rabbia e di dolore è tornato per dirmi addio. Ci siamo detti molto, senza interprete e senza parole. Abbiamo riso e ci siamo promessi di non dimenticarci. d’ora in poi sarà scolpito nella mia memoria, per sempre.
Un signore kosovaro ed io abbiamo accudito un piccolo ceceno di appena un anno. L’amore per questo bimbo ci ha uniti più di una cultura, una lingua e una cittadinanza in comune. Guardarlo giocare ha dato un senso di normalità ad un quadro fuori dal comune.
Un piccolo della Guinea si è addormentato tra le mie braccia. Quando mi vede nei corridoi tende le braccia verso di me, mi riconosce, si fida di me. Quando sua madre viene a prenderlo, si mette a piangere e si aggrappa alle mie gambe. Sono fiera ma al tempo stesso mi si spezza il cuore vederlo terrorizzato all’idea di perdermi.
-5 giorni e me ne vado dal centro. Non riesco ad immaginarmi l’addio, non riesco a dare una forma alle parole che pronuncerò. Non è umanamente sopportabile creare dei rapporti e poi andarsene.
Mi sono catapultata in quest’avventura senza un’idea precisa di ciò che avrei vissuto e mi sono fatta coinvolgere fini alle ossa dalle vite delle persone che incontrato. Io non vedo dei rifugiati, io vedo Ahmed, Zahra, Said… io vedo degli occhi che guardano, ascolto delle bocche che raccontano e annuso l’odore della persona che ho di fronte.
Ogni volta che finiva un ciclo scolastico ero triste di lasciare delle persone alle quali avevo voluto bene ma sapevo che avrebbero intrapreso la loro strada. Qui lascio delle madri, dei bimbi e degli uomini che rischiano un rimpatrio forzato in un paese che ormai non è più il loro, lascio persone che migrano e migreranno ancora, lascio delle speranze infrante e dei sogni troppo timidi per poter essere fatti. Lascio tanti punti di domanda incollati su delle vite.
Sono psicologicamente destabilizzata, ho succhiato qualche goccia di ciascun trauma subito, ho abbandonato ogni illusione circa la giustizia trionfante per i buoni. Sono favole a cui non credo e che non voglio raccontare alle persone che mi chiederanno di quest’esperienza e che sicuramente non racconterò ai miei figli un giorno (meglio disillusi che delusi!). Ogni piccola conquista è costata dolore profondo, conquista irrilevante rispetto al prezzo pagato.
domenica 12 luglio 2009
Bruxelles, mon amour
Durante un banale footing a parc royal, osservando il cielo rosa che imbruniva dietro al palais des beaux arts, ho avuto un'epifania: mi sono innamorata di Bruxelles.
La filosofia spicciola dice che ci si rende conto del valore delle cose una volta che si sono perse. Io non l'ho ancora persa questa città eppure ne sento già la nostalgia e no, non ascolterò De André e non apsetterò domani per avere nostalgia.
Cosa amo di questa città? Ne amo le contraddizioni che tanto mi fanno arrabbiare o ne amo le persone che hanno incrociato il mio percorso?
Non saprei rispondere, la amo e basta. E un po' questo l'amore, no? Amare senza sapere perchè e soffrirne.
Dopo una settimana di vacanza in Francia sono ritornata al mio lavoro con il timore di non trovare più qualcuno. Qualcuno è partito, qualcuno è arrivato. Continuo a non abituarmi alla routine del centro fatta di benvenuti e di arrivederci. Continuo a versare lacrime per ogni addio nonostante gli assistenti sociali mi ripetano da un anno che devo farmi le ossa, prendere le distanze o si impazzisce tra queste mura.
Forse sono veramente impazzita perchè vedo cose che non avrei mai pensato di vedere altrove: una mamma somala che prende tra le braccia un piccolo ceceno e lo coccola come fosse suo figlio, kosovari albanesi e rom serbi che giocano a biliardo insieme, camerunesi che chiamano gli albanesi "fratello"... vorrei che tutto il mondo potesse impazzire e vedere ciò che vedo io per la strada, al supermercato, a scuola e sulle piazze. Peccato che questa follia si sviluppi solo nella gabbia della disperazione.
mercoledì 3 giugno 2009
A testa bassa
Vivo in un quartiere borderline dove si incrociano immigrazione turca e maghrebina musulmana e prostituzione legalizzata.
Lo attraverso guardando il marciapiede, senza alzare lo sguardo.
Se non guardassi per terra, rischierei di inciampare nei troppi chili di immodizia accatastati sul marciapiede.
Se non guardassi per terra, vedrei i corpi semi-nudi delle ragazze africane che aspettano i loro clienti, adagiate languidamente su una poltrona ricoperta da asciugamani sporchi, di fronte ad una vetrina che dà sulla strada.
Sulla stessa strada giocano bambini zingari scalzi e soli, giocano in mezzo alla strada, in mezzo alle gambe delle persone. Giocano a calcio o girano in bicicletta fermandosi ogni pochi metri al passaggio dei passanti o dei clienti delle prostitute. Giocano di fronte alle vetrine come se giocassero in un parco.
Se non guardassi per terra, incrocerei lo sguardo concupiscente degli uomini che cazzeggiano ridosso ai muri (in Algeria si dice che hanno un lavoro: impediscono ai muri di cadere), che quando passo mi dicono "bonjour mademoiselle, ça va?" e che, se non mi giro, mi gridano "putain". Non alzo mai lo sguardo, per paura che percepiscano una minima nota di consenso alla loro avance volgare e grezza.
A volte mi sento persino responsabile dell'attenzione esagerata che ricevo! Perchè non comincio a coprirmi il capo con un hijab? Perchè indosso una gonna? Guarda, Cecilia, le tue vicine di casa sono tutte ben protette da lunghi burka e non mostrano le caviglie, e men che meno le ginocchia!
Spaesamento.
Lo attraverso guardando il marciapiede, senza alzare lo sguardo.
Se non guardassi per terra, rischierei di inciampare nei troppi chili di immodizia accatastati sul marciapiede.
Se non guardassi per terra, vedrei i corpi semi-nudi delle ragazze africane che aspettano i loro clienti, adagiate languidamente su una poltrona ricoperta da asciugamani sporchi, di fronte ad una vetrina che dà sulla strada.
Sulla stessa strada giocano bambini zingari scalzi e soli, giocano in mezzo alla strada, in mezzo alle gambe delle persone. Giocano a calcio o girano in bicicletta fermandosi ogni pochi metri al passaggio dei passanti o dei clienti delle prostitute. Giocano di fronte alle vetrine come se giocassero in un parco.
Se non guardassi per terra, incrocerei lo sguardo concupiscente degli uomini che cazzeggiano ridosso ai muri (in Algeria si dice che hanno un lavoro: impediscono ai muri di cadere), che quando passo mi dicono "bonjour mademoiselle, ça va?" e che, se non mi giro, mi gridano "putain". Non alzo mai lo sguardo, per paura che percepiscano una minima nota di consenso alla loro avance volgare e grezza.
A volte mi sento persino responsabile dell'attenzione esagerata che ricevo! Perchè non comincio a coprirmi il capo con un hijab? Perchè indosso una gonna? Guarda, Cecilia, le tue vicine di casa sono tutte ben protette da lunghi burka e non mostrano le caviglie, e men che meno le ginocchia!
Spaesamento.
giovedì 21 maggio 2009
STUPORE: sm; meraviglia grande e improvvisa; stupefazione.
Yoani Sanchez, blogger cubana che scrive post che raccontano la realtà di un regime illiberale, per poter avere accesso ad un computer che sia collegato alla rete deve entrare illegalmente negli alberghi riservati agli stranieri e spacciarsi per una di loro. per un quarto d'ora di libertà in cui le mani e le ginocchia tremano spende una cifra elevatissima...senza calcolare il rischio che corre.
Io potrei scrivere un post ogni 5 minuti, eppure non lo faccio. Non per mancanza di idee, ma perchè troppo pigra. Non ci si rende mai abbastanza conto della fortuna che si ha.
Molte emozioni hanno attraversato le mie vene in queste ultime settimane.
Un incontro inaspettato. Avevo perso le tracce di quel ragazzo ceceno trasferito verso un altro centro da più di tre mesi. L'addio mi aveva fatto piangere di rabbia e di dolore che non ho saputo riferirgli perchè non parlo russo e lui non parla nessuna lingua che conosco. Avevo perso ogni speranza di poterlo ritrovare un giorno poi...una mattina lo vedo nel corridoio del centro. Non saprei spiegare a parole cosa è successo alle mie viscere: ad un certo punto si sono contorte e mi hanno fatto piangere. Abbiamo passato lunghissimi istanti a coprirci di lacrime senza poterci dire perchè piangevamo ma eravamo contenti. Fortunatamente passava per caso al cetro una signora che parla russo e che qualche volta fa l'interprete per gli assistenti sociali...finalmente potevamo dare un nome alle nostre emozioni. Ho capito che l'amicizia non ha colore né alfabeto, soltanto carne, ossa e sangue.
Una richiesta inaspettata.
- Belli i tuoi orecchini, dammeli!
- No, Signora, sono miei.
- Mi piacciono, dammeli.
- No, Signora, sono un regalo al quale non voglio rinunciare.
- Dammeli, te ne darò un altro paio in cambio.
- No, Signora, a me piacciono i miei orecchini. E' per questo che li ho scelti.
- ...
- ...
- Un giorno li perderai quegli orecchini! frase seguita da un sorriso beffardo.
- Se succederà, saprò dove ritrovarli.
Una coincidenza inaspettata.
Ho ricomninciato la mia attività di traduttrice. Questa volta dovevo tradurre dal francese all'italiano e e dal francese al tedesco per un'italiana ed uno svizzero che sono venuti a visitare il centro nel quadro degli scambi Enaro (per gli operatori nei centri di accoglienza).
Avevamo appuntamento di fronte alla stazione di Rixensart, accolti da un mio collega.
In treno avevo di fronte due giovani persone. Faccio talmente tanti viaggi in treno che ho smesso di ascoltare le conversazioni dei diversi compagni di viaggio...ignari di essere spiati (attività che mi divertiva assai quando il treno lo prendevo una volta ogni tre settimane). Scesa dal treno mi dirigo, seguita dalla coppia di persone, verso il mio collega. Erano i due operatori! Et voilà, la coincidence!
Tempo scaduto, è ora di andare a ritirare i miei vestiti puliti e profumati nella lavanderia a gettoni di fronte a casa..
Io potrei scrivere un post ogni 5 minuti, eppure non lo faccio. Non per mancanza di idee, ma perchè troppo pigra. Non ci si rende mai abbastanza conto della fortuna che si ha.
Molte emozioni hanno attraversato le mie vene in queste ultime settimane.
Un incontro inaspettato. Avevo perso le tracce di quel ragazzo ceceno trasferito verso un altro centro da più di tre mesi. L'addio mi aveva fatto piangere di rabbia e di dolore che non ho saputo riferirgli perchè non parlo russo e lui non parla nessuna lingua che conosco. Avevo perso ogni speranza di poterlo ritrovare un giorno poi...una mattina lo vedo nel corridoio del centro. Non saprei spiegare a parole cosa è successo alle mie viscere: ad un certo punto si sono contorte e mi hanno fatto piangere. Abbiamo passato lunghissimi istanti a coprirci di lacrime senza poterci dire perchè piangevamo ma eravamo contenti. Fortunatamente passava per caso al cetro una signora che parla russo e che qualche volta fa l'interprete per gli assistenti sociali...finalmente potevamo dare un nome alle nostre emozioni. Ho capito che l'amicizia non ha colore né alfabeto, soltanto carne, ossa e sangue.
Una richiesta inaspettata.
- Belli i tuoi orecchini, dammeli!
- No, Signora, sono miei.
- Mi piacciono, dammeli.
- No, Signora, sono un regalo al quale non voglio rinunciare.
- Dammeli, te ne darò un altro paio in cambio.
- No, Signora, a me piacciono i miei orecchini. E' per questo che li ho scelti.
- ...
- ...
- Un giorno li perderai quegli orecchini! frase seguita da un sorriso beffardo.
- Se succederà, saprò dove ritrovarli.
Una coincidenza inaspettata.
Ho ricomninciato la mia attività di traduttrice. Questa volta dovevo tradurre dal francese all'italiano e e dal francese al tedesco per un'italiana ed uno svizzero che sono venuti a visitare il centro nel quadro degli scambi Enaro (per gli operatori nei centri di accoglienza).
Avevamo appuntamento di fronte alla stazione di Rixensart, accolti da un mio collega.
In treno avevo di fronte due giovani persone. Faccio talmente tanti viaggi in treno che ho smesso di ascoltare le conversazioni dei diversi compagni di viaggio...ignari di essere spiati (attività che mi divertiva assai quando il treno lo prendevo una volta ogni tre settimane). Scesa dal treno mi dirigo, seguita dalla coppia di persone, verso il mio collega. Erano i due operatori! Et voilà, la coincidence!
Tempo scaduto, è ora di andare a ritirare i miei vestiti puliti e profumati nella lavanderia a gettoni di fronte a casa..
sabato 4 aprile 2009
This is the end, beautiful friend
È tempo di tirare le fila. Mancano 99 giorni alla fine del mio servizio volontario europeo in Belgio e sono più confusa di quando sono partita.
È stato come una cura detox a base di sigarette e caffè.
Quando mi si chiede cosa è la vita rispondo con una metafora: è una passeggiata durante la quale le persone ti prendono e ti accompagnano per un tratto, per poi lasciarti proseguire coi nuovi incontri. Questo anno è stato il cammino di Santiago de Compostela dove l’hazard, il caso, era re.
Ogni incontro è stato aleatorio: potevo essere là, come potevo non esserci; ma dato che c’ero, c’è stato…e ha scolpito una parte di me cambiandola per sempre, scioccandomi, facendomi arrabbiare o semplicemente mostrandomi un’angolatura della scena mai presa in considerazione prima.
Non si può tornare indietro. Le esperienze umane non sono degli esperimenti da fare e rifare, abbiamo una chance, e dobbiamo giocarcela al meglio.
È per questo che soffro a vedere persone della mia età o, semplicemente, persone, che, se non fosse per questo stupido sistema burocratico e politico, potrebbero essere i miei vicini di casa coi quali andare a bere uno spritz, potrebbero essere i miei compagni di università o, semplicemente, potrebbero essere delle persone padrone delle loro vite, sono costrette a fare niente: questo è costringere le persone al logoramento.
Gli uffici degli assistenti sociali del centro sono tappezzati da manifesti che lodano il coraggio dei richiedenti d’asilo: sì, ci vuole tanto coraggio a farsi trattare come un animale domestico al quale si dà da mangiare e al quale si fornisce una lettiera e un cuscino per aspettare un esito estremamente incerto dal quale dipende il resto della vita (la Vita, non una parte di essa, ma essa nella sua interezza).
L’attesa. L’attesa è l’azione più perfida che esiste: non si può fare altrimenti. E rido se penso che mi innervosisco se aspetto un amico in ritardo all’appuntamento quando c’è gente che aspetta un pezzetto di carta arancione per vivere la propria vita, pezzetto rilasciato da gente che ti giudica dopo un colloquio dopo il quale se ne torna a casa dalla sua famigliola, nella bella villetta nel quartiere borghese per programmare le vacanze all’estero mentre il richiedente d’asilo se ne torna nel limbo dei forse.
Che disgusto tutto ciò.
Nei Promessi Sposi Fra Cristoforo, commentando le ingiustizie di don Rodrigo, disse verrà il giorno… ma verrà veramente il giorno in cui le cose cambieranno? Sono scettica.
È stato come una cura detox a base di sigarette e caffè.
Quando mi si chiede cosa è la vita rispondo con una metafora: è una passeggiata durante la quale le persone ti prendono e ti accompagnano per un tratto, per poi lasciarti proseguire coi nuovi incontri. Questo anno è stato il cammino di Santiago de Compostela dove l’hazard, il caso, era re.
Ogni incontro è stato aleatorio: potevo essere là, come potevo non esserci; ma dato che c’ero, c’è stato…e ha scolpito una parte di me cambiandola per sempre, scioccandomi, facendomi arrabbiare o semplicemente mostrandomi un’angolatura della scena mai presa in considerazione prima.
Non si può tornare indietro. Le esperienze umane non sono degli esperimenti da fare e rifare, abbiamo una chance, e dobbiamo giocarcela al meglio.
È per questo che soffro a vedere persone della mia età o, semplicemente, persone, che, se non fosse per questo stupido sistema burocratico e politico, potrebbero essere i miei vicini di casa coi quali andare a bere uno spritz, potrebbero essere i miei compagni di università o, semplicemente, potrebbero essere delle persone padrone delle loro vite, sono costrette a fare niente: questo è costringere le persone al logoramento.
Gli uffici degli assistenti sociali del centro sono tappezzati da manifesti che lodano il coraggio dei richiedenti d’asilo: sì, ci vuole tanto coraggio a farsi trattare come un animale domestico al quale si dà da mangiare e al quale si fornisce una lettiera e un cuscino per aspettare un esito estremamente incerto dal quale dipende il resto della vita (la Vita, non una parte di essa, ma essa nella sua interezza).
L’attesa. L’attesa è l’azione più perfida che esiste: non si può fare altrimenti. E rido se penso che mi innervosisco se aspetto un amico in ritardo all’appuntamento quando c’è gente che aspetta un pezzetto di carta arancione per vivere la propria vita, pezzetto rilasciato da gente che ti giudica dopo un colloquio dopo il quale se ne torna a casa dalla sua famigliola, nella bella villetta nel quartiere borghese per programmare le vacanze all’estero mentre il richiedente d’asilo se ne torna nel limbo dei forse.
Che disgusto tutto ciò.
Nei Promessi Sposi Fra Cristoforo, commentando le ingiustizie di don Rodrigo, disse verrà il giorno… ma verrà veramente il giorno in cui le cose cambieranno? Sono scettica.
martedì 3 marzo 2009
il signor pacco da recapitare
Non avrai altro Dio all'infuori di me,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse venute dall'est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
Il blog dorme…Cecilia no (in tutti i sensi).
A parte odiosi e costosi disguidi tecnici che hanno fatto sì che il mio adorato Acer fosse fuori uso per 2 settimane (e il mio maialino salvadanaio notevolmente più leggero), non ho potuto aggiornare il blog perché spesso al centro e quasi sempre in viaggio (Lussemburgo…Amsterdam…Londra…e ben presto Portogallo, ma questo è già un altro capitolo…).
Al centro c’è profumo di primavera e di cambiamenti: famiglie che partono e famiglie che arrivano, ricordi che si sovrappongono a nuovi incontri. E sto constatando che la primavera esiste per davvero persino nel piovoso Belgio: le giornate si allungano e la pelle comincia a profumare di miele, come in Italia.
Il mese di febbraio è stato consacrato all’organizzazione del Battle (una sfida di hip-hop/break dance in cui due equipe si scontrano ballando e una giuria decreta il vincitore finchè non ne resta che uno): il centro ha formato un gruppo di ballerini che si sono esibiti per una dimostrazione di danza e un gruppo di ragazzi ha aiutato a montare e smontare le gradinate e i vari palchi dell’evento…insomma, una cosa seria!
Anche piccola Tze c’era: ho attaccato dei volantini a dei muri (in quei giorni ho realizzato che forse avrei fatto meglio a iscirvermi agli scout quando ero piccola perché ho potuto constatare con immensa delusione che il mio senso pratico tende allo zero…con picchi verso giganumeri con un meno davanti…piegare una tenda ed inserirla in un sacco apposito si è rivelato più difficile del previsto…uffa). Ma moralmente ero estremamente presente…soprattutto in fatto di ammirazione del maestro di break alto, rasta, stupendo…ehm…bravissimo, volevo dire, dei ragazzi del centro…ammirazione professionale, s’intende…
La settimana scorsa si è liberato un posto per uomo solo e un centro di una città limitrofa ha inviato un uomo: dopo che i sorveglianti del centro lo hanno accompagnato in macchina fino a Rixensart (nota: 45 minuti di tragitto) alla domanda: come si chiama? Non hanno saputo rispondore. Ciò significa aver passato quasi un’ora in 3 m2 con un’altra persona senza essersi scambiati nemmeno una singola parola. Ora, se io sto per più di 5 minuti da sola nella mia stanza (che più o meno è anche 3 m2 ) io inizio a parlare anche con le mie piante grasse o impazzisco! Uomini come numeri…uomini come pacchi da recapitare…
In Angola si dice che chi ha i capelli bianchi è saggio…io sto diventando molto saggia. La mia capigliatura sale e pepe sconvolge le donne Rom del centro, le quali tingono i capelli anche alle bimbe di 1 anno: mi hanno detto che se continuo a lasciarmi andare in questo modo non troverò mai un marito, soprattutto alla mia età (22!?!?). Gli uomini africani del centro, invece, non sono sconvolti dai fili bianchi tra i miei capelli, bensì dal fatto che non ho ancora un marito e, di conseguenza, dei figli. Sono anche abbastanza perplessi circa il fatto che io vada a correre per tenermi in forma: la donna deve essere tonda, se no non è donna. Loro sì che sanno come far aumentare l’autostima!
Ora devo concludere, un po’ come nei temi a scuola quando nonresta che un quarto d’ora per consegnare…ma in questo caso un quarto d’ora corrisponde al livello di autonomia delle mie batterie umane.
Ah, la citazione è di DeAndré…e quanto ha ragione!
A parte odiosi e costosi disguidi tecnici che hanno fatto sì che il mio adorato Acer fosse fuori uso per 2 settimane (e il mio maialino salvadanaio notevolmente più leggero), non ho potuto aggiornare il blog perché spesso al centro e quasi sempre in viaggio (Lussemburgo…Amsterdam…Londra…e ben presto Portogallo, ma questo è già un altro capitolo…).
Al centro c’è profumo di primavera e di cambiamenti: famiglie che partono e famiglie che arrivano, ricordi che si sovrappongono a nuovi incontri. E sto constatando che la primavera esiste per davvero persino nel piovoso Belgio: le giornate si allungano e la pelle comincia a profumare di miele, come in Italia.
Il mese di febbraio è stato consacrato all’organizzazione del Battle (una sfida di hip-hop/break dance in cui due equipe si scontrano ballando e una giuria decreta il vincitore finchè non ne resta che uno): il centro ha formato un gruppo di ballerini che si sono esibiti per una dimostrazione di danza e un gruppo di ragazzi ha aiutato a montare e smontare le gradinate e i vari palchi dell’evento…insomma, una cosa seria!
Anche piccola Tze c’era: ho attaccato dei volantini a dei muri (in quei giorni ho realizzato che forse avrei fatto meglio a iscirvermi agli scout quando ero piccola perché ho potuto constatare con immensa delusione che il mio senso pratico tende allo zero…con picchi verso giganumeri con un meno davanti…piegare una tenda ed inserirla in un sacco apposito si è rivelato più difficile del previsto…uffa). Ma moralmente ero estremamente presente…soprattutto in fatto di ammirazione del maestro di break alto, rasta, stupendo…ehm…bravissimo, volevo dire, dei ragazzi del centro…ammirazione professionale, s’intende…
La settimana scorsa si è liberato un posto per uomo solo e un centro di una città limitrofa ha inviato un uomo: dopo che i sorveglianti del centro lo hanno accompagnato in macchina fino a Rixensart (nota: 45 minuti di tragitto) alla domanda: come si chiama? Non hanno saputo rispondore. Ciò significa aver passato quasi un’ora in 3 m2 con un’altra persona senza essersi scambiati nemmeno una singola parola. Ora, se io sto per più di 5 minuti da sola nella mia stanza (che più o meno è anche 3 m2 ) io inizio a parlare anche con le mie piante grasse o impazzisco! Uomini come numeri…uomini come pacchi da recapitare…
In Angola si dice che chi ha i capelli bianchi è saggio…io sto diventando molto saggia. La mia capigliatura sale e pepe sconvolge le donne Rom del centro, le quali tingono i capelli anche alle bimbe di 1 anno: mi hanno detto che se continuo a lasciarmi andare in questo modo non troverò mai un marito, soprattutto alla mia età (22!?!?). Gli uomini africani del centro, invece, non sono sconvolti dai fili bianchi tra i miei capelli, bensì dal fatto che non ho ancora un marito e, di conseguenza, dei figli. Sono anche abbastanza perplessi circa il fatto che io vada a correre per tenermi in forma: la donna deve essere tonda, se no non è donna. Loro sì che sanno come far aumentare l’autostima!
Ora devo concludere, un po’ come nei temi a scuola quando nonresta che un quarto d’ora per consegnare…ma in questo caso un quarto d’ora corrisponde al livello di autonomia delle mie batterie umane.
Ah, la citazione è di DeAndré…e quanto ha ragione!
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